Non passa giorno senza che ci propinino una nuova assurdità: adulti seminudi che sculettano in faccia ai bambini, ipotesi scientifiche presentate come dogmi, ennesime somministrazioni di vaccini che non immunizzano “a protezione propria e altrui”, inspiegabili auto-sabotaggi di gasdotti e infrastrutture varie, decarbonizzazione rapida e indolore. È un continuo alzare l’asticella per testare il nostro raziocinio e, in assenza di reazioni, introdurre la narrazione successiva, perpetrare un nuovo abuso, allargare il controllo su popoli che sembrano essersi mentalmente arresi.
Ieri i nostri nonni, ma anche molti dei nostri padri, non avrebbero mai accettato certe cose, e per un motivo molto semplice: bastava essere possessori della propria umanità per capire, discernere, e dunque rifiutarle.
Se oggi ce le facciamo andare bene è perché ci sono state tolte quelle “difese immunitarie” che permettono all’uomo di riconoscere, proteggersi, reagire.
Il colpevole dello stato in cui versiamo ha un nome: è quel progressismo che, cresciuto indisturbato negli ultimi cinquant’anni, ci ha demoliti interiormente e ora raccoglie i “frutti”: la nostra sottomissione totale, che permette ai suoi adepti di ridisegnare la società a colpi di ideologie, sparandola sempre più grossa, osando sempre di più.
Il progressismo nega l’essenza delle cose e in particolare che l’uomo abbia una sua forma che non muta perché sottratta al divenire dell’esistenza: di qui la confusione in cui ci fa precipitare con genderismo e transgenderismo. Rifiuta il tempo e tutto ciò che rimane per sempre considerandolo come una costrizione: di qui la cancel culture che riscrive la storia e l’attacco alla tradizione, vista come cascame di cui liberarsi. Considera tutto ciò che è nuovo come migliore a prescindere: di qui la scomposizione e ridefinizione di quelle strutture intermedie, come la famiglia, su cui si appoggia l’uomo.
Nulla di solido ha diritto di esistenza, in primis la memoria quale fonte di un sapere stabile. Il grande nemico è l’eternità, con la sua protettiva stabilità.
Ma poiché l’essenza precede e da senso all’esistenza, quella progressista è una ideologia destinata a fallire, tanto è vero che oggi le nostre vite si ritrovano sovente senza scopo né significato, in balia delle decisioni del potente di turno che di volta in volta sostiene di poterle guidare, tutelare e far progredire.
Disconoscendo che esistano principi e valori che non possano essere consumati dal tempo e dalle circostanze e introducendo sempre nuovi paradigmi – in sé profondamente divisivi ma apparentemente inclusivi – che derivano solo da pulsioni personali o da dati scientifici da piegare con ipotesi di convenienza, il progressismo spiana la strada a quella “dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie”, come insegnava Benedetto XVI.
In questo contesto di riduzione delle questioni etiche a opinioni, di cancellazione della verità e di esaltazione tecnocratica della scienza è evidente che siamo tutti a rischio, come ha dimostrato il totalitarismo sanitario di recente vissuto.
Decostruita ogni certezza personale, tagliata ogni relazione immediata con la concretezza, azzerata la nostra capacità critica di leggere gli eventi, il progressismo sforna narrazioni farlocche che ci impone senza sosta, spesso ricorrendo a un moralismo aggressivo. Il reale non ha più nulla da dire: è muto. E infatti siamo immersi in una iperrealtà prodotta dai media a uso e consumo di chi la realizza, al punto che nella società della comunicazione globale ci ritroviamo più disinformati e ignoranti che mai sui fatti che accadono, come accade sulla guerra in Ucraina.
“Forte” di questi precedenti, il progressismo ci prepara ora alla prossima assurdità: l’ecologismo che ribalta i piani e invece di porre la natura al servizio dell’uomo, fa il contrario.
In tal modo però si accinge a trasformarsi in regressismo e, così facendo, segna il principio della sua fine. Che, si spera, sarà definitiva.