Uno degli aspetti più preoccupanti della vicenda pandemica è che sembra non averci insegnato nulla. Non solo dal punto di vista medico – visto che si stanno riproponendo con sospetta testardaggine le stesse “soluzioni” (dai protocolli comportamentali alle somministrazioni vaccinali reiterate e indiscriminate) che in questi tre anni si sono rivelate spesso inutili e non di rado dannose – ma soprattutto da quel punto di vista più ampio e sintetico che precede e determina l’approccio medico.
Se è mancata un’epistemologia “circolare”, una forma di riflessione che con sguardo trasversale ai saperi particolari li contenga tutti includendo etica e deontologia, la responsabilità è anche del mondo accademico, che per antonomasia dovrebbe essere deputato al pensiero libero e critico e invece, salvo poche eccezioni, si è distinto per conformismo e incapacità di analisi.
Specialismo, riduzionismo e una buona dose di opportunismo hanno così impedito di cogliere e denunciare, anche in contesti culturali, quanto è accaduto e continua a succedere con preoccupante rapidità: l’avvizzimento di tutti i principali paradigmi democratici, l’introduzione di forme di coazione che si pretendono giustificate da esigenze emergenziali (ora sanitarie, ora climatiche, ora belliche, ora energetiche) e l’avvio di nuovi meccanismi di controllo della popolazione.
Il silenzio dei ceti colti e intellettuali davanti a questo andazzo resta un problema, ma qualcosa si muove e a segnare un cambio di passo è il primo evento pubblico organizzato a Roma, a metà giugno, da Coscienze Critiche, associazione di docenti universitari nata per favorire una revisione critica del rapporto tra scienza e società, che ha dato il via a una riflessione più ampia e profonda, analizzando in modo multidisciplinare l’evento pandemico per trarne insegnamenti utili a non ripetere errori del passato.
Sul palco del Teatro Flavio si sono alternati una serie di interventi (che ho avuto il piacere di moderare e ai quali ho potuto aggiungere un mio contributo) che hanno toccato questioni cruciali finora rimaste ai margini del dibattito: quanto potere sia opportuno attribuire alla scienza; come regolare i rapporti tra questa e il capitalismo finanziario che tende a condizionarla; fino a che punto si possano marginalizzare i diritti e il diritto in situazioni definite “emergenziali”; come custodire l’umano davanti al combinato monstre formato da Big Pharma, Big Media e Big Data.
Mariano Bizzarri, oncologo e professore alla Sapienza ha puntato il dito sull’egemonia di una visione tecnocratica: “La scienza è passata dal chiedersi ‘perché?’, al domandarsi ‘come?’ fino a diventare oggi mera tecnologia che, non capendo più il mondo, pensa di smontarlo. L’obiettivo è il transumanesimo: giocano a fare Dio e ci fanno credere di poter vendere l’immortalità”. Per Bizzarri, che ritiene sia in atto uno scontro di civiltà con cui si vuole negare ogni dimensione spirituale della vita, la soluzione è arrestare prima possibile l’avanzata della tecnoscienza: “gli obiettivi e le modalità di lavoro della Big Science stanno provocando un cambiamento circa i valori e le prassi da seguire nell’ambito della scienza e dell’interpretazione dei dati che ne deriva”.
Una degenerazione tale da determinare paradossali esiti: sono stati chiamati “vaccini” quelli che in realtà sono farmaci, sovvertendo le linee guida e bypassando la vigilanza, come ha dettagliatamente illustrato Marco Cosentino, professore di farmacologia all’Università dell’Insubria. Il che – ha spiegato Maurizio Federico dell’Istituto Superiore di Sanità – ha permesso l’applicazione “di restrizioni sociali (il greenpass nelle sue varie declinazioni) basate su assunti diametralmente opposti a ciò che era fin dall’inizio noto in termini di effetti immunologici dei vaccini stessi”. Ma la ciliegia sulla torta di questa discutibile operazione fatta in nome della scienza spunta dalla denuncia di Francesco Russo, del Dipartimento di Scienze Chirurgiche dell’Università Tor Vergata: “le fondamenta sono i dati grezzi di salute, base della medicina fondata sull’evidenza; ora, abbiamo tutti sempre preso per buoni ricostruzioni grafiche, torte, diagrammi e analisi fatte anche da organismi privati, ma mai ci siamo chiesti se esistesse a monte una correttezza di raccolta, registrazione, validazione, certificazione e trasmissione dei numeri grezzi (per esempio i dati pluviometrici che derivano dalle analisi recenti e storiche in caso di alluvioni, i dati di infezione e malattia durante una pandemia, e così via). Ebbene: questa correttezza non c’è!”
A riprova, Russo ha evidenziato che né nel Piano Pandemico del Covid 19, né nella sua versione rimodernata recentemente dal Ministero, “esiste una sola sezione, una sola parola, una sola riga sul problema della analisi e gestione dei dati di salute (infezione e malattia) che provengono dalle migliaia di strutture sanitarie (Asl, Ospedali, Cliniche, Laboratori, Ambulatori, Policlinici) italiane. Nulla di nulla.”
Sarà che, come dice Bizzarri, non ci siamo accorti della “riconversione valoriale delle nostre società. A partire dal concetto di vita che non è più considerato un valore irrinunciabile, definito naturaliter in quanto tale, ma è diventato un valore condizionato”. Questa deriva si rispecchia nel diritto: per la costituzionalista Isabella Iodice, dell’Università Aldo Moro di Bari, “siamo in una transizione costituzionale, dove la nuova unità di misura non è più la dignità della persona ma l’interesse della collettività”; anche nelle recenti sentenze della Consulta in materia di obbligo vaccinale trapela “un inquietante cambio di paradigma valoriale” per cui perfino l’evento fatale è “superabile” se si è previsto un indennizzo. Sono – ha ricordato Iodice – i frutti di quel “capitalismo senz’anima” che ora la fa da padrone e che Giovanni Paolo II aveva indicato come ultimo nemico da combattere. Sulle recenti pronunce della Corte si è soffermato Gianfrancesco Vecchio, dell’Università di Cassino, che ha evidenziato come contengano informazioni molto importanti che per conformità devono trovare seguito nelle prossime decisioni della Corte riguardanti la profilassi vaccinale e le scelte politiche compiute in materia: “nell’ultima frase della sentenza si afferma che la scelta di non vaccinarsi è legittima; ma ciò che è legittimo, nota Vecchio, non può comportare sanzioni. Uno straccio di coerenza dovrà pur esserci.” Lo vedremo.